Comitato spontaneo di quartiere “Ponente Varazzino e dintorni”
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Il Presepio del Natale 2010 in Casa Bozzano
La Fondazione Bozzano-Giorgis continua la tradizione di allestire il presepe secondo l’uso ligure. I profumati muschi del Beigua, le eriche e i ramoscelli di timo della macchia mediterranea, l’edera e le cortecce dei boschi dell’entroterra costituiscono il paesaggio in cui sono collocate le figurine in terracotta albisolesi sistemate tra case e ponti realizzati artigianalmente in legno, che ricreano la tipica ambientazione agreste-montana. Carta roccia, segatura, piccole pietre, farina e juta sono gli elementi base con i quali il paesaggio aderisce alla realtà del nostro territorio. Quale allora l’originalità di questo presepe?
Sicuramente nei personaggi doppiamente tradizionali sia per la lavorazione sia per l’iconografia: lavorazione intesa come produzione di figurine di piccole dimensioni, dalle forme essenziali e dai vividi colori definite localmente “macachi albisolesi”, iconografia intesa come tipologia di personaggi noti nella realtà ligure come “Gilindu e Gilinda”, i primi giunti alla Grotta e raffigurati genuflessi al cospetto del Bambino o “u zeau” dal tipico mantello con cappuccio. Nei doni che i popolani recano, in modo a volte ostentato, compaiono tutti i prodotti della vita della campagna dalle uova alla fascina di legna, dal pesce appena pescato al pollo ruspante. Singolari nella loro semplicità sono le vistose aureole (rispetto alle dimensioni delle figure) della sacra famiglia, peculiari di questa tipologia di figurine. Proprio il bambin Gesù del presepe è stato scelto come immagine di copertina, peraltro assai efficace, di una recente pubblicazione sui presepi liguri che si può ammirare in una delle teche presenti nella sala espositiva.
Nella stanza del Presepio …
Come pure nell’ingresso della casa-museo della Fondazione è allestita una piccola mostra a soggetto natalizio. Nelle teche e vetrine si alternano volumi sull’arte presepiale a ceramiche di Guglielmo Bozzano e della collezione come ad esempio il”gruppo di ovini” di Salvatore Fancello, le statuine della tradizione della Val Polcevera o le figurine ottocentesche di legno intagliato. Ritorna la forma della “conchetta” tanto amata da Guglielmo dipinta o graffita, opaca o invetriata accanto ad acquerelli dai colori essenziali ed appropriati per rappresentare con la consueta maestria l’atmosfera della notte santa. Ad arricchire la presentazione nella vetrina più grande trovano posto le originali figurine di carta dipinta ad acquarello, riproduzione fedele di quelle albisolesi in terracotta che col tratto di Guglielmo si trasformano in opera d’arte.
Per approfondire
La tradizione di Albisola. In Albisola la tradizione ceramista è molto antica. Nel borgo della Liguria di Ponente i vasai lavorano già nel XIII secolo; nel Seicento e nel Settecento, i secoli che rappresentano l’apice di questo tipo di produzione, l’arte viene regolata dai “Capitula artis figulorum Albisole” risalenti al 1589 e la corporazione è posta sotto la protezione di Sant’Antonio da Padova. Sulla fine del Settecento artisti come Filippo Martinengo, Stefano Murialdo e il ceramista Giacomo Boselli danno inizio ad una produzione di figure fittili forse anche fornendo gli “stampini” agli artisti che tennero loro dietro: è l’avvio di una rinnovata attività in Savona e in Albisola, in particolare nel secondo centro, con un buon complesso di prodotti, tanto da alimentare un’imponente esportazione. I ceramisti vanno del resto considerati i naturali discendenti degli intagliatori in legno settecenteschi, riallacciandosi all’opera del Maragliano e del Pittaluga e, attraverso questi ultimi, alla stirpe dei “bancalari”, gli abilissimi autori delle “casse” delle confraternite, dei famosi crocifissi processionali e dei numerosi gruppi statuari di straordinario vigore custoditi nella penombra dei santuari affacciati sul mare.
Soprattutto al savonese Antonio Brilla (1813-1891) va attribuito il merito di aver dato un nuovo impulso all’arte della ceramica e alla produzione di figure da presepio:con lui, grazie ad una attività in serie e ad una nuova tecnica di lavorazione, l’allestimento presepiale diventa proprio anche nelle classi meno abbienti ed entra nella cultura popolare. Il momento è assai favorevole: non mancano le botteghe di pignatte, che sono numerose, non mancano i forni di cottura che lavorano la creta locale e quella importata da Antibes sui barconi che attraccano al molo di Sant’Antonio. Già esecutore di una buona scultura in legno e andando al di là del neoclassicismo dei suoi predecessori, il Brilla nel produrre in vasta scala figure da presepio, a basso prezzo e quindi di facile smercio, stimola l’interesse dei lavoratori della ceramica tanto che con lui prende avvio la vera stagione delle figurine albisolesi a carattere popolare.
La tecnica di lavorazione è semplicissima: due stampini per ricavare la forma del corpo, una grossolana ripulitura, le braccia delle figurine attaccate alla meglio; le figure, modellate con la creta di scarto della produzione delle pignatte, vengono sottoposte ad un’unica cottura e verniciate a freddo. Per la cottura dei pezzi i figulinai, spesso si tratta di donne, sono soliti recarsi presso lo stesso proprietario della fornace ove hanno raccolto gli avanzi della creta. Avveniva, non raramente, che le statuine venissero cotte a domicilio: in questo caso, secondo una tecnica che risale al Neolitico, si copriva di carbone la conca piena di figurine e gli si dava fuoco, i pezzi venivano quindi dipinti a freddo con terre coloranti. Anche ad Albisola le statuette nascono come possibilità di arrotondare i magri guadagni e riuscire a racimolare qualche piccola somma per rendere più ricco il pranzo di Natale.
Mentre sulla strada del Brilla si posero il Grosso e Lorenzo Pescio, il personaggio più popolare e pittoresco, quello che produsse un gran numero di “macachi” come venivano definite le statuette da presepio che entravano in tutte le case, era “Geinin in ciassa”. Aveva una piccola bottega di commestibili, ma i profitti erano scarsi in quanto mancavano i clienti ed il borgo era povero, ma il turismo era ancora da inventare, sul lungomare si avventurava soltanto qualche estroso inglese: Geinin, dimostrando un fiuto da buon imprenditore, decise di rivolgersi ai “macachi d’Arbissoa” e con l’aiuto delle donne che convenivano nella propria bottega diede inizio ad un’intensa produzione. I pezzi, talora oltre i mille, forse anche millecinquecento, portati dalle donne che con enormi ceste sulle spalle percorrevano la vecchia strada da Albisola a Savona, dovevano immancabilmente essere pronti per la fiera di Santa Lucia, il 13 dicembre, quando venivano posti in vendita, ad una palanca l’uno, sui banchetti dei venditori negli angoli dei portici di Savona, l’unico riparo alla gelida tramontana.
I “macachi d’Arbissoa”, personaggi ancora una volta tratti dal mondo degli umili, comparivano anche, acquistati a dozzine, sul mercato di Genova e si spingevano lontano, diventando merce d’esportazione: facevano la propria apparizione nelle Americhe dove li fecero conoscere i nostri emigranti, spesso in concorrenza con le statuine provenienti dalla Lucchesia, dalla Sicilia e dalle Marche. Quello di “Geinin in ciassa” non era del resto l’unico caso: si ricorda che la figulinaia e figlia di figulinai fu anche Benedetta, suor Giuseppa Maria Rossello (1811-1880). Operanti dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla fine degli anni Trenta, gli artigiani, o meglio le figulinaie di Albisola, produssero nei tempi migliori anche centomila pezzi all’anno. Da: “Il Presepe Italiano” di Michele Ruggiero 1988
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Varazze, 3 gennaio 2011.
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Il Presepio del Natale 2010 in Casa Bozzano
La Fondazione Bozzano-Giorgis continua la tradizione di allestire il presepe secondo l’uso ligure. I profumati muschi del Beigua, le eriche e i ramoscelli di timo della macchia mediterranea, l’edera e le cortecce dei boschi dell’entroterra costituiscono il paesaggio in cui sono collocate le figurine in terracotta albisolesi sistemate tra case e ponti realizzati artigianalmente in legno, che ricreano la tipica ambientazione agreste-montana. Carta roccia, segatura, piccole pietre, farina e juta sono gli elementi base con i quali il paesaggio aderisce alla realtà del nostro territorio. Quale allora l’originalità di questo presepe?
Sicuramente nei personaggi doppiamente tradizionali sia per la lavorazione sia per l’iconografia: lavorazione intesa come produzione di figurine di piccole dimensioni, dalle forme essenziali e dai vividi colori definite localmente “macachi albisolesi”, iconografia intesa come tipologia di personaggi noti nella realtà ligure come “Gilindu e Gilinda”, i primi giunti alla Grotta e raffigurati genuflessi al cospetto del Bambino o “u zeau” dal tipico mantello con cappuccio. Nei doni che i popolani recano, in modo a volte ostentato, compaiono tutti i prodotti della vita della campagna dalle uova alla fascina di legna, dal pesce appena pescato al pollo ruspante. Singolari nella loro semplicità sono le vistose aureole (rispetto alle dimensioni delle figure) della sacra famiglia, peculiari di questa tipologia di figurine. Proprio il bambin Gesù del presepe è stato scelto come immagine di copertina, peraltro assai efficace, di una recente pubblicazione sui presepi liguri che si può ammirare in una delle teche presenti nella sala espositiva.
Nella stanza del Presepio …
Come pure nell’ingresso della casa-museo della Fondazione è allestita una piccola mostra a soggetto natalizio. Nelle teche e vetrine si alternano volumi sull’arte presepiale a ceramiche di Guglielmo Bozzano e della collezione come ad esempio il”gruppo di ovini” di Salvatore Fancello, le statuine della tradizione della Val Polcevera o le figurine ottocentesche di legno intagliato. Ritorna la forma della “conchetta” tanto amata da Guglielmo dipinta o graffita, opaca o invetriata accanto ad acquerelli dai colori essenziali ed appropriati per rappresentare con la consueta maestria l’atmosfera della notte santa. Ad arricchire la presentazione nella vetrina più grande trovano posto le originali figurine di carta dipinta ad acquarello, riproduzione fedele di quelle albisolesi in terracotta che col tratto di Guglielmo si trasformano in opera d’arte.
Per approfondire
La tradizione di Albisola. In Albisola la tradizione ceramista è molto antica. Nel borgo della Liguria di Ponente i vasai lavorano già nel XIII secolo; nel Seicento e nel Settecento, i secoli che rappresentano l’apice di questo tipo di produzione, l’arte viene regolata dai “Capitula artis figulorum Albisole” risalenti al 1589 e la corporazione è posta sotto la protezione di Sant’Antonio da Padova. Sulla fine del Settecento artisti come Filippo Martinengo, Stefano Murialdo e il ceramista Giacomo Boselli danno inizio ad una produzione di figure fittili forse anche fornendo gli “stampini” agli artisti che tennero loro dietro: è l’avvio di una rinnovata attività in Savona e in Albisola, in particolare nel secondo centro, con un buon complesso di prodotti, tanto da alimentare un’imponente esportazione. I ceramisti vanno del resto considerati i naturali discendenti degli intagliatori in legno settecenteschi, riallacciandosi all’opera del Maragliano e del Pittaluga e, attraverso questi ultimi, alla stirpe dei “bancalari”, gli abilissimi autori delle “casse” delle confraternite, dei famosi crocifissi processionali e dei numerosi gruppi statuari di straordinario vigore custoditi nella penombra dei santuari affacciati sul mare.
Soprattutto al savonese Antonio Brilla (1813-1891) va attribuito il merito di aver dato un nuovo impulso all’arte della ceramica e alla produzione di figure da presepio:con lui, grazie ad una attività in serie e ad una nuova tecnica di lavorazione, l’allestimento presepiale diventa proprio anche nelle classi meno abbienti ed entra nella cultura popolare. Il momento è assai favorevole: non mancano le botteghe di pignatte, che sono numerose, non mancano i forni di cottura che lavorano la creta locale e quella importata da Antibes sui barconi che attraccano al molo di Sant’Antonio. Già esecutore di una buona scultura in legno e andando al di là del neoclassicismo dei suoi predecessori, il Brilla nel produrre in vasta scala figure da presepio, a basso prezzo e quindi di facile smercio, stimola l’interesse dei lavoratori della ceramica tanto che con lui prende avvio la vera stagione delle figurine albisolesi a carattere popolare.
La tecnica di lavorazione è semplicissima: due stampini per ricavare la forma del corpo, una grossolana ripulitura, le braccia delle figurine attaccate alla meglio; le figure, modellate con la creta di scarto della produzione delle pignatte, vengono sottoposte ad un’unica cottura e verniciate a freddo. Per la cottura dei pezzi i figulinai, spesso si tratta di donne, sono soliti recarsi presso lo stesso proprietario della fornace ove hanno raccolto gli avanzi della creta. Avveniva, non raramente, che le statuine venissero cotte a domicilio: in questo caso, secondo una tecnica che risale al Neolitico, si copriva di carbone la conca piena di figurine e gli si dava fuoco, i pezzi venivano quindi dipinti a freddo con terre coloranti. Anche ad Albisola le statuette nascono come possibilità di arrotondare i magri guadagni e riuscire a racimolare qualche piccola somma per rendere più ricco il pranzo di Natale.
Mentre sulla strada del Brilla si posero il Grosso e Lorenzo Pescio, il personaggio più popolare e pittoresco, quello che produsse un gran numero di “macachi” come venivano definite le statuette da presepio che entravano in tutte le case, era “Geinin in ciassa”. Aveva una piccola bottega di commestibili, ma i profitti erano scarsi in quanto mancavano i clienti ed il borgo era povero, ma il turismo era ancora da inventare, sul lungomare si avventurava soltanto qualche estroso inglese: Geinin, dimostrando un fiuto da buon imprenditore, decise di rivolgersi ai “macachi d’Arbissoa” e con l’aiuto delle donne che convenivano nella propria bottega diede inizio ad un’intensa produzione. I pezzi, talora oltre i mille, forse anche millecinquecento, portati dalle donne che con enormi ceste sulle spalle percorrevano la vecchia strada da Albisola a Savona, dovevano immancabilmente essere pronti per la fiera di Santa Lucia, il 13 dicembre, quando venivano posti in vendita, ad una palanca l’uno, sui banchetti dei venditori negli angoli dei portici di Savona, l’unico riparo alla gelida tramontana.
I “macachi d’Arbissoa”, personaggi ancora una volta tratti dal mondo degli umili, comparivano anche, acquistati a dozzine, sul mercato di Genova e si spingevano lontano, diventando merce d’esportazione: facevano la propria apparizione nelle Americhe dove li fecero conoscere i nostri emigranti, spesso in concorrenza con le statuine provenienti dalla Lucchesia, dalla Sicilia e dalle Marche. Quello di “Geinin in ciassa” non era del resto l’unico caso: si ricorda che la figulinaia e figlia di figulinai fu anche Benedetta, suor Giuseppa Maria Rossello (1811-1880). Operanti dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla fine degli anni Trenta, gli artigiani, o meglio le figulinaie di Albisola, produssero nei tempi migliori anche centomila pezzi all’anno. Da: “Il Presepe Italiano” di Michele Ruggiero 1988
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