‘Rimettersi in gioco’: un libro sulla solitudine dei giovani presentato ieri a Varazze

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Varazze, 5 dicembre 2009.

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‘Rimettersi in gioco’: un libro sulla solitudine dei giovani presentato ieri a Varazze

varazze_41209_e28098rimettersi-in-giocoe28099-un-e28098libro-bianco-sulla-solitudine-dei-giovanie280991‘Rimettersi in gioco’. Un ‘libro bianco sulla solitudine dei giovani’, di don Giovanni Ghilardi è stato presentato ieri a Varazze, alla presenza di un pubblico attento e partecipe, su una tematica che purtroppo è sempre di pressante e scottante attualità.

L’Associazione Culturale “U Campanin Russu” in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Città di Varazze, ha presentato ieri Venerdì 4 dicembre alle ore 16.30, presso la sala conferenze di Palazzo Beato Jacopo, il libro “Rimettersi in gioco”, scritto da don Giovanni Ghilardi, sacerdote Salesiano, con la prefazione di Sua Eminenza Cardinale Tarciso Bertone.

Presentazione curata da Mario Traversi, Presidente dell’Associazione Culturale “U Campanin Russu”, che ha introdotto e moderato gli interventi varazze_41209_e28098rimettersi-in-giocoe28099-un-e28098libro-bianco-sulla-solitudine-dei-giovanie28099dell’autore, del Signor Sindaco Prof. Giovanni Delfino, del Consigliere con delega alla Cultura Maria Angela Calcagno e l’acceso dibattito che ha interessato e coinvolto i numerosi presenti, in una discussione protrattasi oltre i tempi prestabiliti.

Il libro testimonianza di un’esperienza unica e per certi versi irripetibile, con interessanti spunti sui quali interrogarsi e riflettere, è disponibile nelle librerie di Varazze e meritata di essere acquistato, letto e conservato per essere all’occorrenza riletto e discusso.

Il direttivo.
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Questo articolo è stato pubblicato il 05 Dic 2009 alle 09:19 ed è archiviato nelle categorie - U Campanin Russu, Attualità, EVENTI E MOSTRE, NEWS DA VARAZZE. Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. Puoi andare in fondo e lasciare un commento. Attualmente il pinging non è permesso.

3 commenti

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Da /Il Secolo XIX/ – palazzo Beato Jacopo a Varazze la solitudine dei giovani

Un libro bianco sulla solitudine dei giovani. Sarà presentato oggi, alle 16,30, nella sala conferenze (primo piano) di Palazzo Beato Jacopo, già sede del Comune. Il titolo è “Rimettiamoci in gioco” e lo hanno scritto mani esperte e sapienti, quelle del sacerdote salesiano don Giovanni Ghilardi , una “vecchia” conoscenza per i meno giovani varazzini. L’introduzione al libro porta la firma di mons. Tarcisio Bertone, pure lui formatosi nella grande famiglia di San Giovanni Bosco, e attualmente segretario di stato del Vaticano. “Invitiamo i cittadini a partecipare numerosi – dice l’assessore alla cultura Mariangela Calcagno -, il tema trattato è delicato e attuale”.

06 Dic 2009 alle 08:44
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Da / Il Secolo XIX/ del 15 dicembre 2009 «Quando Savona faceva paura» di SILVIA SIMONCELLI

Don Ghilardi è stato il primo a occuparsi di disagio giovanile in città. Contro tutti – «La mia figura, prima di tutto, ricopriva il ruolo di educatore. Solo dopo veniva quello di sacerdote. Ho sempre creduto che la relazione umana debba precedere il discorso religioso».

In occasione della presentazione del suo libro, “Rimettersi in gioco: libro bianco sulla solitudine dei giovani”, don Giovanni Ghilardi racconta la sua esperienza nel savonese. La sua storia è vissuta nella Savona degli anni Settanta e Ottanta. Rivela una città con molti problemi, ma soprattutto con tanti giovani disadattati e abbandonati a se stessi.

Don Ghiraldi, oggi settantenne, arriva dalla toscana nel 1960. Inizia a Varazze il suo cammino in Liguria, dove continua l’attività di Don Morelli nell’ambito salesiano.

Con l’associazione “Mato Grosso” si dedica alla raccolta del ferro. Tutto il ricavato della vendita era destinato ad attività sociali. E nel frattempo prosegue nell’insegnamento, occupazione che da sempre caratterizza il suo ordine. Dopo la parentesi varazzina arriva il trasferimento nel capoluogo. Ed è qui che don Ghilardi entra in contatto con quell’ambiente e e quelle problematiche che segneranno per sempre la sua vita e quella, per fortuna, di molti ragazzi.

«Ho subito preso coscienza di una realtà difficile. Vi abitavano tanti giovani con problemi seri. Ricordo che in quegli anni il sindaco di Savona parlava di pericolo e la gente aveva paura. Io personalmente fui protagonista di uno di quegli episodi che indussero il primo cittadino dell’epoca a raccomandare attenzione. Stavo camminando solo in una via buia. Un gruppetto di giovani si avvicinò minaccioso. Fortunatamente riconobbi uno di loro. Con la frase “io ti conosco” quello si tirò subito indietro, probabilmente per paura di essere poi denunciato. Se ne andarono. La situazione era grave, testimoniata anche dagli articoli dei giornali, in particolare del Secolo XIX. Il ,giornalista Marcello Zinola in più occasioni si fece portavoce del momento spiacevole che stava vivendo la cittadina. I suoi articoli aiutarono il mio lavoro, sensibilizzando la popolazione e le istituzioni».

Don Ghilardi pone l’accento su quanto la sua decisione di aprire una casa d’accoglienza fosse dettata dalle circostanze. Non da una scelta dunque, tutto nasce da un’imposizione stabilita dalla necessità d’aiutare questa gioventù dimenticata. «Non l’ho cercato, – prosegue – mi ci sono trovato. Nel momento in cui alcuni ragazzi hanno chiesto il mio aiuto, non ho potuto rifiutarglielo. Ho iniziato così un cammino che ormai, per diversi motivi, ho concluso. Nel ’70 iniziai con due comunità familiari per minori, una per ragazze e una per ragazzi. Sono passati di lì tanti giovani. La soddisfazione maggiore è vederli oggi inseriti nella società. Molti si sono sposati e hanno una loro famiglia. Il mio scopo era aiutarli a riscoprire le doti personali e la fiducia in loro stessi».

Lungo la strada tanti sono stati gli ostacoli incontrati da don Giovanni Ghilardi. Prima di tutto lo scontro con le istituzioni, che ancora non sentivano tra i propri compiti quello di sostenere una tale comunità. Anche con lo stesso ordine dei salesiani, al quale appartiene, ebbe dei forti contrasti. «Ho movimentato mari e monti per cercare gli aiuti necessari. Ho chiesto e trovato l’appoggio degli organi istituzionali. Ma non è stato facile, ho dovuto lottare molto. Le alte sfere dei Salesiani, dall’altra parte, criticavano i miei metodi, che ritenevano troppo laici. In particolare non sostennero mai la mia posizione di educatore unico. Per certi aspetti sostenevano che andassi oltre i miei compiti. Nonostante le critiche sono comunque sempre riuscito a mantenere buoni rapporti. Il fatto è testimoniato dalla prefazione del mio libro, firmata dal cardinale Tarcisio Bertone».

A fine degli anni Novanta don Ghilardi termina l’esperienza con i ragazzi: «I motivi sono diversi. Primo tra tutti la mia età. Stavo passando dal ruolo paterno a uno più vicino a quello di nonno. Avrei voluto trovare il giusto successore per portare avanti la mia strada. Non è successo e la casa d’accoglienza è stata chiusa»>.

Grazie a don Ghilardi le istituzioni hanno preso coscienza del disagio giovanile. Il suo carattere forte e la sua caparbietà hanno aperto una via seguita da altri a cui il sacerdote lascia il suo libro di memorie come esempio.

15 Dic 2009 alle 09:10
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Da / Il Secolo XIX / – “Rimettersi in gioco” successi e sconfittedi un sacerdote al servizio dei deboli.

NEI GIORNI SCORSI, presso la sala conferenze di Palazzo Beato Jacopo di Varazze, don Giovanni Ghilardi ha presentato il suo libro “Rimettersi in gioco”.

Mario Traversi, presidente dell’associazione “U Campanin Russu”, organizzatore della serata, ha ricordato l’importanza della figura del don e del suo libro. Testo che potrà essere fonte di meditazione per tutti coloro che vorranno approfondire, l’ancora attuale, tema dei ragazzi disadattati.

«Questo – ha detto don Giovanni Ghilardi – vuole essere un resoconto di tanti anni di lavoro a contatto con i problemi dei giovani. È una storia di successi e insuccessi. È la mia vita. Si potranno trovare storie diverse dei ragazzi che ho visto crescere. Ne esce un’immagine di Savona a quei tempi. Una Savona diversa, difficile. Ho tentato di racchiudere le mie esperienze entro un testo e metterle a disposizione di chi vorrà servirsene».
Silvia Simoncelli

15 Dic 2009 alle 09:29

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