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Varazze, 21.06.2023. Home page
VARAZZE IN UN MANOSCRITTO DEL 1820
Riscoprire il nostro passato – di Tiziano Franzi
Il ritrovamento di un manoscritto nell’archivio parrocchiale di S. Ambrogio ha portato lo studioso Tonino Olivieri a tracciare un quadro piuttosto completo della condizione in cui si trovava Varazze nel 1820, scattandone una istantanea che ci permette di conoscere i suoi abitanti, le sue fabbriche, le chiese, la manodopera impiegata, la sua storia e persino (una curiosità) il nome e lo stipendio percepito dall’unica postina (perché era una donna) addetta alla distribuzione della corrispondenza in tutto il paese.
“Il manoscritto (formato cm.22,5×33) è suddiviso in 60 capitoli, ognuno dei quali tratta un argomento a sé. La firma, leggibilissima, è «Della Cella» seguita da una frase molto significativa: «Giudice per S.M. del Mandamento». Il mandamento di Varazze comprendeva allora, oltre alla nostra cittadina, anche le Comunità di Stella, Cogoleto e Celle. Giuridicamente la giustizia era amministrata nel Mandamento da un Giudice che aveva alle sue dipendenze un Luogotenente, un Segretario e un Priore per Varazze; un Luogotenente per la frazione di Stella e due Castellani, uno per Celle e l’altro per Cogoleto. Il Giudice Della Cella Domenico (come si legge nel capitolo 25 del manoscritto) percepiva per la sua carica la somma di Lire 1.600 annue in moneta di Genova. […]
I primi capitoli descrivono la posizione geografica del Mandamento, i Mandamenti limitrofi (Voltri, Savona, Sassello, Dego, Cairo), la popolazione consistente in 11.456 abitanti era così suddivisa: Varazze capoluogo n.4.710; Celle 2.169; Cogoleto 1.571; Stella 3.006. Ognuna di queste località era a sua volta divisa in membri separati di Varazze; Varazze, popolazione 952; Borgo Solaro 1.008; Borghetto 230; Borgo S. Nazaro 250; Cantalupo 330; Castagnabuona 290; Casanova 650; Invrea 70; Pelo (Pero) 124; Alpicella e Deserto 806; per un totale appunto di 4.710 abitanti.
Nei successivi capitoli l’autore descrive le miti condizioni climatiche del territorio che favoriscono la rigogliosa crescita anche di piante tropicali, oltre ad «agrumi di ogni qualità, aranci, verdure ed in ispecie carcioffi e cavoli fiori d’inverno, vino leggero ma salubre, grano ed olio eccellenti, frutta squisita ecc.».
Vengono poi elencati i torrenti che attraversano il Mandamento e le vie di comunicazione. In particolare è messo in rilievo il pessimo stato in cui si trova la strada provinciale che porta al Sassello, che è chiaramente descritto nel capitolo 11 in questi termini:
«Una strada degna della pubblica sollecitudine, sembra quella che parte da Varazze, attraversa le Comunità di Stella e porta al Sassello e nel Monferrato e che è divenuta ormai impraticabile. Da questa strada discendono tutti i legnami da costruzione che i Cantieri di Varazze tirano dalle lontane, mediante piccole leggie tirate da bovi che vi passano tutti gli oggetti di commercio attivo e passivo del Paese col Piemonte, mediante il trasporto di bestie da soma, non essendo suscettibile del passaggio di carri.»
Nel capitolo successivo troviamo elencate le maggiori industrie che prosperavano nel Mandamento: «Varazze deve ab immemorabili l’antica sua prosperità al commercio dei bastimenti d’ogni portata ivi costrutti; Cogoleto la principale risorsa alle fornaci di calce; Celle alla formazione di reti da pesca che fornisce anche all’estero. Tutti i venerdì d’ogni settimana vi è un mercato a Varazze di legnami da costruzione.»
Degno d’essere trascritto quasi interamente è il capitolo 14 nel quale vengono riportate le principali manifatture del Mandamento; i nomi dei proprietari delle fabbriche ed il numero della manodopera impiegata. Precisi, scrupolosi specchietti ci fanno conoscere come e dove i nomi dei nostri nonni si «guadagnavano la giornata». La parte del leone era naturalmente fatta dai cantieri navali varazzesi che l’autore ha suddiviso in due categorie: per la costruzione di bastimenti di grossa portata (n.6) e di piccola portata (n.8). Trascrivo l’elenco dei proprietari di tali cantieri mettendo, tra parentesi, il numero dei maestri d’ascia e dei calafati in forza ad ogni cantiere:
Camogli Giuseppe (22-12); Craviotto Michele (9-6); Craviotto Agostino (9-3); Craviotto Giacinto (3-3); Ceruti Bernardo (4-2); Fazio Antonio (1-1); Camogli Giuseppe e Franco (1-1); Bozzo Tommaso e Giuseppe (1-1); Guastavino Salvatore (1-1); Fazio Serafino (1-1); Ceruti Michele (1-1); Guastavino Bernardo (1-1).
In totale la manodopera impiegata nella costruzione dei vecchi ‘barchi’ ammontava a n. 93 unità.
Oltre alla costruzione dei bastimenti, i varazzesi eccellevano in altre arti lavorative; esisteva una fucina da ancore, proprietario Piceda Gio Batta che impiegava n. 10 fabbri; Ramognino Giacomo aveva alle sue dipendenze n. 2 fabbri per la sua fabbrica di chiodi. Una delle maggiori fonti di lavoro era costituita dalle corderie: della prima era proprietario il dott. Ferro Gio Batta ed aveva alle sue dipendenze un Direttore, uno Scritturale, un Capo Mastro e bel 57 operai giornalieri; la seconda del dott. Ghigliazza Giuseppe, impiegava uno Scritturale e n. 20 giornalieri.
Altre industrie sono le cinque piccole aziende produttrici di cotonine ad uso di vele, molto richieste a quei tempi. Due lavoranti erano alle dipendenze di Fazio Benedetto, due in quella di Poggi Giuseppe, quattro nella fabbrica di Angelo Rossi, pure quattro in quella di Villa Rosa e due in quella di Gueta Franco.
Altro settore molto importante era quello delle cartiere.
A Varazze ne esistevano 7 che occupavano in totale 77 persone. Di queste, una era produttrice di carta bianca ed era quella di Calcagno Gerolamo (Direttore 1, giornalieri 20), mentre dalle restanti sei usciva esclusivamente carta straccia.
I proprietari di queste ultime erano: Gavarone Ambrogio (1-10); Testa eredi del fu Gio Batta (1-10); Doria M. Massimiliano (1-10); Craviotto eredi fu Agostino (1-10); Guastavino Antonio (1-7).
Degno d’essere riportato integralmente, come curiosità, è il capitolo 15. «La maggior parte degli abitanti del Mandamento sono nullatenenti e perciò poveri. Il patrimonio più ricco è considerato quello del Signor Gio Battista Ferro fu Domenico consistente per lo meno in L. 800.000 di Genova, cioè trecento instabili, il resto in commercio. Un patrimonio di lire trentamilla è riputato mediocre. Regna nelle principali famiglie una ben intesa decenza inclinante più alla semplicità che al lusso.»
Nel capitolo 17 si parla delle maggiori feste religiose con una nota a margine illustrante le onoranze che si fecero nel 1818 nella parrocchia di S. Ambrogio allorché venne ufficialmente riconosciuto il culto al Beato Jacopo da Varagine.
«Nel Capoluogo si celebrano annualmente tre fonzioni popolari, cioè la prima di S. Catterina da Siena li 30 aprile. La seconda del Beato Giacomo da Varazze la 1^ domenica di luglio. La terza li 16 agosto coll’intervento in virtù di voto dell’Autorità e di diverse antiche deliberazioni del Corpo di Communita’. [segue nota a margine]
Una straordinaria solennità ebbe luogo in questa Collegiata li 20, 21 e 22 settembre 1818. L’Oracolo Augusto del Capo della Chiesa ne presentò l’argumento desideratissimo colla sanzione del sacro culto al riferito Beato, concittadino e protettore.
Un nuovo maestoso altare ivi fu in quell’occasione memoranda eretto in cui splende tuttavia per opera di famoso pennello l’Eroe santissimo in atto di pacificatore fra le fazioni che ai suoi tempi lacceravano la pace, l’ordine, la libertà della Società Genovese.
Un religioso entusiasmo, una magnificenza insolita, la splendidezza pubblica e privata d’una patria superba, divota, riconoscente accompagnarono nei suoi dettagli la sacra pompa e la resero degna di figurare nei fogli della Capitale Pubblica Edificazione ad esempio universale.»
A lato: Il quadro che rappresenta il Beato Giacomo da Varagine nell’atto di pacificare le opposte fazioni in Genova. (Chiesa di S. Ambrogio, Varazze)
Il capitolo così continua: «Nella facciata dell’antico Uffizio di Communita’, situato nella piazza principale di Varazze detta della Curia esistono tre statue marmoree, cioè una colossale del Beato Giacomo da Varagine, ed ai lati quelle più piccole di S. Antonio Abate e di S. Catterina da Siena con le seguenti antiche iscrizioni, cioè: la prima in uno scudo esistente all’estremità superiore di detta facciata; la seconda sotto la statua di S. Catterina; la terza sotto quella di S. Antonio; la quarta con un distico latino nel piedistallo della statua di detto Beato, la quale fu eretta per deliberazione del 21 gennaio 1646 dal Consiglio della Communita’ con altre due piccole statue laterali già indicate.» Delle tre statue nominate dall’autore è rimasta nella facciata del Municipio solo quella del Beato Giacomo mentre nulla si sa delle altre due. Le epigrafi che erano sotto alle due statue furono murate nell’atrio del Palazzo Comunale dove si ammirano tuttora insieme alla quarta, un tempo posta sotto la statua di colui che fu uno dei più grandi Arcivescovi di Genova ed uno dei più grandi scrittori ed oratori del suo tempo.
A lato: la facciata del vecchio palazzo comunale con le tre statue.
Riporto, già tradotte per comodità del lettore, le quattro iscrizioni latine, molto interessanti.
I
A DIO OTTIMO E MASSIMO
La pietà
che un giorno lontano sacrò i cuori
dei cittadini varazzesi
alla Santissima Trinità
anche oggi all’Augusto Mistero
delle Tre Divine Persone
questa minima testimonianza
di fedeltà religiosa
consacrò 1549.
II
Esultano
lieti di così valida tutela
i cittadini senesi e i devoti varazzesi
di quest’alma vergine Caterina
concittadini
quelli per nascita, questi per elezione
parimenti, vincolati
dagli interventi del suo patrocinio
e dall’obbligo di doveroso ossequio
Recandosi ad Avignone
dove il Papa risiedeva
riconciliò col Sommo Pontefice
Gregorio XI
Senesi e Fiorentini
in grave dissidio colla Chiesa
e colpiti da interdetto
e, nel corso di questo viaggio, colla sua gloriosa presenza
risollevò i varazzesi
vessati dalla peste che in quei giorni
spingeva al limite massimo
gli sforzi della sua virulenza
A DIO OTTIMO E MASSIMO
Ma questi più fortunati si rallegrano
perché poterono constatare
e sperimentare ripetutamente
il perpetuarsi di questa celeste tutela
contro l’insorgenza petulante
del terribile morbo
come recentemente accadde
nell’anno 1630.
III
Questa città
seconda dopo quella che inizialmente
Aaron, fratello uterino di Giano,
il fondatore di Genova
aveva creato tra i boschi
dotandola col proprio nome
insieme con tutta la sua valle,
tale nome portò
per lungo volgere di secoli finché
fu chiamata VARAZZE
E questo nome ancor oggi conserva
quantunque, durante gli anni
in cui risorse e dai boschi
si trasferì al mare, circondandosi
di mura e dotandosi del
monumentale tempio di S. Ambrogio
preminente su tutti gli altri
fosse chiamato anche
città DELLA VERGINE
Governava allora quella Chiesa il Vescovo di Betlemme
che col suo Vicario Generale
presiedeva una numerosa comunità
di Monaci Gerominiani,
che costituiva il Capitolo.
Posta nell’anno 1649
del Parto di Maria.
IV
Beato Giacomo da Varazze
Arcivescovo di Genova e
per universale consenso elettro Patrono
Genova ne venera il corpo,
custodito nel suo sepolcro
ma i suoi meriti rifulgono
oltre ogni limite di spazio.
Tonino Olivieri (mancato troppo precocemente) ha profuso la sua passione nella ricerca delle tracce nascoste del passato di Varazze e la sua perseveranza lo ha portato a ritrovare nella chiesa di S. Maria di Castello a Genova la statua in pietra che sormontava la tomba del Beato Jacopo da Varagine, oggi esposta al Museo di S. Agostino (Genova).
Tiziano Franzi
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[1] – Olivieri A., Varazze in un manoscritto inedito del 1820, Il nuovo Gazzettino di Varazze, anno XIV, n. 6-7-8-9, aprile, maggio, giugno 1969.
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