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Varazze, 3.11.2022. Home page
La produzione artistica del Maragliano a Varazze
Varazze ha nelle sue chiese e nei suoi oratori importanti sculture in marmo e in legno. Queste ultime, soprattutto, fanno parte di una tradizione ligure di lunga data, che ha caratterizzato la produzione artistica particolarmente nel periodo tra il XVI e il XVII secolo.
Molto si è discusso in passato sull’attribuzione di tali opere, particolarmente in riferimento al prestigioso nome di Anton Maria Maragliano, che fu tra i maggiori esponenti della scuola barocca genovese, conosciuto per le sue sculture lignee, attivo fra la fine del Seicento e i primi quattro decenni del secolo successivo, in particolare a Genova dove tenne una rinomata bottega. A lui è stata dedicata nel 2018-2019 a Palazzo Reale a Genova una importante mostra antologica: un vero excursus con i momenti salienti della sua produzione. Tra le opere esposte il bellissimo San Michele di Celle Ligure, esempio di una tecnica elevata e raffinata che traduce dinamismo tridimensionale in una sofisticata grazia barocca.
ANTON MARIA MARAGLIANO
Nacque a Genova il 18 settembre 1664 da Luigi, figlio di Battino (capitano della Repubblica già defunto nel 1640), e Maria Monica, figlia di Tommaso, entrambi Maragliano ma di due rami familiari distinti. Il padre Luigi esercitò la professione di fornaio, con bottega in Albaro e con un servizio di panificazione condotto, per il biennio 1667-1668, presso l’ospedale di Pammatone: dalle entrate a suo favore si ricava una posizione economica tutt’altro che mediocre.
La professione di “bancalaro” – ossia mobilieri – eseguendo in alternanza gruppi scultorei lignei e raffinati arredi – era esercitata nella famiglia di Maria Monica, poiché suo fratello Giacomo fu definito «faberlignarius» in un atto del 4 maggio 1660 relativo alla cessione a suo favore, in seguito alla morte del padre Tommaso, di alcune rendite dedotte da beni immobili ubicati nel territorio extraurbano di Struppa. Non è per ora possibile stabilire l’eventuale grado di parentela con Antonio Maragliano, figlio di Giovanni Andrea, che, insieme al fratello Giovanni Battista, si ascrisse nella matricola dell’Arte dei bancalari l’11 dicembre 1672: di questo Antonio si hanno notizie continuative dal 1686 al 1712.
Un’altra sorella di Monica, Maria Pelina, sposò nel 1667 Giovanni Battista Agnesi, maestro di Anton Maria e cognato di Filippo Parodi. Secondo il biografo, il fanciullo, abile a impiegare «il suo tempo nell’andar in cerca di creta, di cui poi formavane figurine», fu posto a bottega come garzone «con certo Arrata, mediocrissimo scultorello». Costui, identificabile con Giuseppe Arata, potrebbe aver trattenuto Anton Maria presso la sua bottega all’inizio della fase formativa, come prevedevano gli statuti della corporazione.
Il passaggio presso la bottega dello zio acquisito, Giovanni Battista Agnesi, è documentato dal contratto di «accartatio» del 7 febbraio 1680: a quell’epoca il ragazzo aveva sedici anni e poiché aveva superato i limiti d’età stabiliti dai capitoli corporativi (dai dodici ai quattordici), il padre ne dichiarò quattordici «circiter». Da contratto il giovane Anton Maria doveva restare a bottega con lo zio per i sei anni successivi. Alla formazione tecnica non fu abbinato un apprendimento letterario: infatti l’analfabetismo dello scultore, rilevato dal biografo, è confermato dalla necessità, in alcuni casi, di ricorrere all’ausilio del notaio per la sottoscrizione delle stipule contrattuali.
Il 27 agosto 1682 Anton Maria, afferente alla parrocchia di Santo Stefano e residente in piazza Ponticello, sposò Anna Maria Vaccaria, vedova Bugerio, nella chiesa di Sant’Andrea a Genova e due anni dopo, il 15 giugno 1684, fu battezzata la figlia Maria Rosa. Il 14 agosto 1687 Anton Maria fu convocato, insieme ad altri bancalari, dai consoli di quell’Arte per regolarizzare la propria posizione: vennero concessi quindici giorni per rendere noti i recapiti necessari per procedere con l’ascrizione nella matricola. Tuttavia nella lista il suo nome fu depennato, non comparendo tra coloro che, rifiutando l’ascrizione, furono condannati in contumacia.
Dagli appunti allegati emergono sia la zona della residenza («dalli Servi», in effetti attigua a piazza Ponticello) sia l’ubicazione della bottega, in Scurreria.
Insieme al collega Giovanni Battista Pedevilla, il 16 gennaio 1688, rivolse una supplica al Senato per essere liberato dall’obbligo di ascrizione alla corporazione dei bancalari, affermando di scolpire «già tanto tempo di figure». Secondo il biografo lo scultore completò personalmente la propria formazione, facendo «alcuna cosa da sé», ossia studiando la scultura in legno del Seicento, in particolare le prove di Giovanni Battista Bissoni; in seguito «stette alcuni anni» con Giovanni Andrea Torre, impegnato a «lavorare in giornata».
Ragionevolmente, si può supporre che l’impegno presso Torre fosse stato avviato subito dopo l’emancipazione dallo zio, dunque intorno al 1686. Inoltre è possibile ipotizzare che intorno al 1689, raggiunti i venticinque anni e, di conseguenza, la possibilità di negoziare pubblicamente, si fosse messo in proprio: il 2 luglio 1692 accoglieva come apprendista Francesco Maria Campora nella propria bottega posta in piazza dei Funghi, a sud dell’odierna piazza Matteotti, sempre afferente alla zona di Scurreria.
Il 27 marzo 1693 stipulò un autonomo contratto di commissione: si trattava di un tavolo da muro con specchiera ordinatogli da Agostino Arpe che, l’8 marzo dell’anno successivo, lo citava in tribunale per la mancata realizzazione del mobile. Il 7 giugno 1694 promise alla confraternita di San Michele Arcangelo a Celle Ligure di eseguire la cassa processionale raffigurante il santo, sua prima opera documentata ancora disponibile, di cui è noto anche un modello in terracotta. Contemporaneamente si dedicò anche al decoro delle poppe di galea, in particolare a quella commissionata dalla Repubblica, in cui «storiò le imprese di Cristoforo Colombo», e quelle ordinate dal Re di Spagna.
Da questo momento avviò una ricchissima produzione, di durata trentennale con produzione documentata. Dagli anni venti del secolo una nutrita equipe di allievi, in particolare i due nipoti Agostino Storace e Giovanni Maragliano, si occuparono della realizzazione delle numerose commissioni di cui Maragliano restava il titolare.
Il 7 marzo 1739 Anton Maria Maragliano, «scultore celeberrimo», fu sepolto nella chiesa di Santa Maria della Pace a Genova, come da volontà testamentaria. Già vedovo della moglie Anna Maria, lo scultore «obiit in Ponticello» presso la propria abitazione, che si trovava dunque nella zona oggi prossima a piazza Dante.
SCULTURE DEL MARAGLIANO A VARAZZE
Recenti studi hanno ripreso in esame anche quanto presente nel territorio di Varazze. Paiono infatti particolarmente accostabili alla sintassi della sua scultura le due splendide statue raffiguranti la «Madonna con Gesù Bambino» e «San Giuseppe», in origine unite in una cassa processionale con la «Fuga in Egitto», nell’oratorio dedicato a San Giuseppe a Varazze: l’aulicità di impostazione, la lenta, ispessita, a volte bloccata, scorrevolezza dei panni, la resa potente delle mani e la fissità della struttura facciale […] con l’inusuale cappello parasole identico a quello calzato dal santo spagnolo (*1), dipende, per l’ideazione, dalla cosiddetta «Cingara orientale», immagine frequente nell’ambiente cambiasesco. […]
A lato:
Madonna con Gesù bambino, Oratorio di s. Giuseppe, Varazze
Anche la splendida «Madonna della Cintura» dell’oratorio genovese dei Cinturati, in passato riferita a Giovanni Battista Bissoni, è opera di Maragliano da affiancare alla «Madonna del Rosario» di Varazze, del 1715-1716, che si presentano entrambe assise sopra elaborati seggi, veri e propri arredi. […] La tradizionale attribuzione del gruppo a Maragliano venne accolta dalla studiosa Graziella Colmuto nel 1963. L’innegabile dinamismo, determinato dalla santa svettante su un tortile magma di nubi, con i panneggi gonfi dal vento dell’ascesi, è mutuato da gruppi marmorei. Infatti è lampante la conoscenza della «Santa Marta», scolpita da Filippo Parodi per l’omonima chiesa genovese, ma anche della «Santa Maria Maddalena», messa in opera nel 1715 per la parrocchiale di Bordighera, da parte di Domenico Parodi e Francesco Biggi: dall’una deriva il gestire delle braccia, dall’altra la disposizione delle gambe.
A lato: S. Giuseppe, Oratorio di s. Giuseppe, Varazze
Madonna del Rosario, Chiesa Padri Domenicani, Varazze |
Martirio di S. Bartolomeo, oratorio di s. Bartolomeo, Varazze |
S. Caterina in gloria, Chiesa S. Ambrogio, Varazze |
Si possono infatti accostare alle opere finora sicure la «Santa Caterina da Siena in gloria» di Varazze, dove nuovamente si riscontra, nella modalità spumosa di modellare i cirri, nella nerboruta forza dei putti e nei teatrali piegami delle vesti, l’osservazione di modelli marmorei parodeschi, in particolare la «Santa Marta in gloria» dell’omonima chiesa genovese. (*2)
Tali opere, non furono realizzate dal Maragliano in loco, bensì nel suo laboratorio in piazza dei Funghi a Genova, dove eseguiva le sculture che gli venivano commissionate non soltanto dalla Liguria e da altre regioni italiane, ma anche dalla Spagna (soprattutto Cadice e Siviglia).
Altra opera attribuita ad Antonio Maria Maragliano è il gruppo scultoreo processionale “Martirio di s. Bartolomeo”, custodito nell’oratorio di s. Bartolomeo a Varazze.
Tiziano Franzi
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(*1) – Santo spagnolo: San Giacomo.
(*2) – Sanguineti D., Scultura genovese in legno policromo dal secondo Cinquecento al Settecento, Allemandi, Torino, 2013.