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29 Settembre 2022

Malocelli – Malocello: Riscoprire il nostro passato

PonentevazzinoNews
Varazze, 29.09.2022.                                      Home page

Riscoprire il nostro passato

MALOCELLI / MALOCELLO

Lanzerotto Malocello fu il navigatore varazzino che, agli inizi del XIV secolo (forse nel 1321) superò lo stretto di Gibilterra e navigò verso sud ovest fino a raggiungere (e quindi a scoprire) le isole Canarie, che i Romani chiamarono “Isole Fortunate”. Una delle isole Canarie porta il suo nome: Lanzarote.

Della nascita e della prima parte della sua vita, fino alla partenza per mare, non si hanno notizie certe. Si presume che fosse discendente di una ricca famiglia genovese, che aveva interessi anche a Varazze.

A questo punto occorre soffermarsi su come tutti i documenti medioevali che ci sono pervenuti sono il frutto del lavoro di amanuensi e copisti. Tutti i testi scritti, infatti, prima dell’avvento della stampa a caratteri mobili (1455) erano compilati a mano e, se importanti, ricopiati anche più volte, sempre a mano. Questo ha comportato – direi necessariamente – errori di trascrizione, o comunque variazioni anche considerevoli sullo stesso testo. Basti pensare che della Divina Commedia (di cui non è sopravvissuta la redazione originale) si contano ben 27 codici, con moltissime varianti di scrittura al loro interno, solo prima della sistemazione del testo di Dante operata da Giovanni Boccaccio.

E’ quindi comprensibile che anche nella scrittura del nome dei personaggi che prendiamo in considerazione in questo testo, vi siano state significative varianti.

Così troviamo indicati: Lanzerotto e Lanzarotto; Malocello, Malocelli, Marocello, Marocelli, pur facendo riferimento alla medesima persona o casata.

Ad esempio, nella seguente lapide, incastonata sul portale di San Gottardo nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova, la famiglia Malocelli è indicata come Marocelli, come ben si legge nella seconda riga dell’iscrizione.

I Malocelli, sul cui stemma era raffigurata la civetta (malus augellus), furono una casata importante per la storia di Varazze e della podesteria di cui la nostra città era “capoluogo”.

“Per quanto riguarda i Malocelli, la documentazione pervenutaci consente di identificare con sicurezza l’esercizio da parte dei membri della famiglia, in condominio con gli aleramici marchesi di Ponzone, di diritti di natura signorile sull’area di Varazze, Celle e Albisola, nonché l’esistenza di estese proprietà fondiarie nell’area fra Genova, il passo dei Giovi e Cogoleto e in quella di Campi, a occidente della città, e in quella fra Genova e Quinto, a oriente, a lungo mantenute in possesso indiviso fra tutti i membri del consortile, la cui situazione proprietaria venne sciolta solo nell’ultimo quarto del XIII secolo, in significativa coincidenza con il declino dell’influenza politica della famiglia. […]

(Stemma araldico della famiglia Malocelli)

Il forte legame con i Fieschi costituisce un aspetto rilevante dell’atteggiamento sempre più marcatamente aristocratico del Malocello in questi anni, atteggiamento che trovò espressione anche nelle trattative condotte nello stesso periodo per rilevare dal consanguineo marchese Enrico di Ponzone la quota da lui detenuta dei diritti signorili su Varazze, Celle e Albisola, con il chiaro fine di fare di quest’area una base di potere da utilizzare nelle controversie interne della politica genovese, analogamente a quanto stavano facendo i Fieschi nell’entroterra della Riviera di Levante, o i Doria e gli Spinola nell’Oltregiogo. […]

(Stemma araldico della famiglia Fieschi)

Significativa appare sotto questo aspetto la parabola politica dei figli del menzionato Guglielmo quondam Enrici, più volte console negli anni a cavallo fra XII e XIII secolo: Jacopo e Lanfranco. Jacopo, già membro nel 1236 della magistratura degli Octo Nobiles, che affiancava il podestà nell’azione di governo ed in particolare nell’amministrazione finanziaria, fece le sue prime prove come diplomatico in occasione dell’ambasceria inviata nel 1239 presso papa Gregorio IX al fine di avviare le trattative per l’alleanza tra Genova e Venezia, fortemente voluta dal pontefice in funzione anti-imperiale, di cui gli fu affidata la conduzione a fianco di Ugo Lercari.

Il successo conseguito in queste trattative aprì la strada per una promettente carriera che gli valse, nel 1241, il comando della flotta incaricata di trasportare dalla Provenza a Roma i prelati diretti al Concilio convocato dal pontefice allo scopo di deporre l’imperatore, ma il disastro della battaglia dell’isola del Giglio, nel corso della quale quasi tutta la flotta, ad eccezione dell’ammiraglia e di altre cinque unità, venne catturata dalla squadra pisano-imperiale guidata dal fuoriuscito genovese Ansaldo De Mari, che condusse prigionieri in Puglia gli importanti passeggeri, mise bruscamente fine all’ascesa politica di Jacopo.

Tuttavia, proprio in questa evenienza, le forti solidarietà familiari tra le stirpi della vecchia aristocrazia contribuirono a proteggere il Malocello, il quale poteva contare sull’appoggio, oltre che della sua famiglia, dei suoi potenti parenti acquisiti, i Fieschi. avendo sposato una Fieschi, Jacopo si era infatti strettamente legato ai due più potenti prelati della grande famiglia aristocratica guelfa, Sinibaldo e Ottobono, rispettivamente zio e fratello della sposa, e non fu sicuramente un caso che, dopo un periodo di sostanziale eclissi, la sua carriera fosse ripresa nel corso del pontificato di Sinibaldo, divenuto Innocenzo IV, un papa notoriamente assai incline ad appoggiare l’ascesa del proprio parentado.

Tornato quindi sulla scena da protagonista, il Malocello strinse con ogni evidenza ancor più la collaborazione con il cognato, nel frattempo decorato della berretta cardinalizia, garantendosi un sostegno di tale forza politica da consentirgli di superare anche le difficoltà connesse con l’avvento nel 1257 del governo del Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, la cui netta coloritura ghibellina e antinobiliare condusse invece al rapido allontanamento di gran parte dell’aristocrazia guelfa dalla cerchia del potere. Il potere dei Fieschi e i loro stretti rapporti con la Curia imponevano però rispetto anche al Boccanegra, ed evidentemente questo si estendeva anche ai loro parenti acquisiti, come dimostra il fatto che, mentre altri membri della sua famiglia venivano tenuti in disparte, Jacopo partecipò nel 1259 a due importanti missioni diplomatiche: un’ambasceria presso il successore di Innocenzo, Alessandro IV, e soprattutto la missione esplicata dal cardinale ad Asti per ottenere la liberazione dei figli di suo cognato, il defunto conte Tommaso II di Savoia, trattenuti in ostaggio dai governanti del comune piemontese.

(Genova all’epoca del capitano del popolo Guglielmo Boccanegra)

Il forte legame con i Fieschi costituisce un aspetto rilevante dell’atteggiamento sempre più marcatamente aristocratico del Malocello in questi anni, atteggiamento che trovò espressione anche nelle trattative condotte nello stesso periodo per rilevare dal consanguineo marchese Enrico di Ponzone la quota da lui detenuta dei diritti signorili su Varazze, Celle e Albisola, con il chiaro fine di fare di quest’area una base di potere da utilizzare nelle controversie interne della politica genovese, analogamente a quanto stavano facendo i Fieschi nell’entroterra della Riviera di Levante, o i Doria e gli Spinola nell’Oltregiogo.

In quest’ottica appare assai interessante il matrimonio che venne combinato per uno dei fratelli di Jacopo, Lanfranco; il futuro podestà di Bologna sposò infatti una figlia di Oberto Spinola, uno dei più influenti rappresentanti dell’aristocrazia ghibellina e diretto ispiratore della restaurazione nel 1270 del Comune di Popolo, di cui avrebbe retto le sorti per un ventennio a fianco di Oberto Doria.

Una simile parentela potrebbe apparire non in linea con l’orientamento politico dei Malocelli, ma alla luce degli eventi i matrimoni di entrambi i fratelli sembrano rispondere all’esigenza di tutelare il ruolo della famiglia in un quadro politico in rapida e turbolenta trasformazione quale quello genovese della seconda metà del XIII secolo e di garantire lo stesso status privilegiato di una stirpe che incominciava a perdere terreno rispetto a gruppi familiari di origine più recente e meno altolocata, il cui successo economico li proiettava però in prima fila sulla scena della politica cittadina. – (*1)

(Stemma araldico della famiglia Spinola)

I Malocelli / Malocello occuparono quindi posizioni di grande importanza all’interno dell’aristocrazia della Superba, ponendosi in parentela diretta con i Doria, i Fieschi e gli Spinola. Tale rilevanza dovette influire anche sulla loro presenza in Varazze e nel territorio, dove avevano grandi possedimenti.

Per loro, però, cominciò una parabola discendente verso la fine del XIII sec.

Infatti “il documento del 24 aprile 1290 nel quale viene registrato l’accordo raggiunto fra i numerosi esponenti della nuova generazione dei Malocelli (Nicolò, Tedisio, Antonio e Giorgio, figli di Jacopo, Tommaso, figlio di Enrico, e Albertino e Luchino, figli di Lanfranco, ai quali ultimi si affianca Costantino Lercari in qualità di tutore di Albertino, figlio del loro defunto fratello Egidio) per la suddivisione con il Comune di Genova, rappresentato nell’occasione da Ansaldo Doria, dei beni mobili e immobili posti in Varazze e Albisola, provenienti dall’eredità di Jacopo, che lo stesso Comune aveva acquistato il 10 febbraio precedente, per il notevole prezzo di 3.200 lire, da Giacomo e Bonifacio, figli di un altro Lanfranco, detto maior, rappresenta in un certo qual modo la fine di un’epoca: cedendo i loro beni di natura signorile e “piegandosi” all’esercizio della mercatura, come ad esempio l’anziano Fresone, che negli ultimi anni della sua vita accentuò la partecipazione a imprese commerciali in direzione del Mediterraneo orientale, i Malocelli abdicavano a quella loro orgogliosa difesa del carattere puramente “aristocratico” della propria stirpe. – (*2)

Tiziano Franzi

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(*1) – Basso E., Identità nobiliare in una città di mercanti: I Guerci e i Malocelli nella Genova del XII e XIII secolo, in Bullettino dell’Istituto storico italiano del medioevo, n. 116, Roma, 2014
(*2) – Basso E., ibidem.

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