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Varazze, 14.03.2022. Home page
Riscoprire il nostro passato –
Epidemie a Varazze: il colera
(Parte quarta) – Ora (febbraio 2022) in cui si intravvede una possibilità di uscita temporanea (?) dalla pandemia di SARS -Covid-19, mi è sembrato utile ricordare le altre “epidemie” che in passato hanno interessato il territorio di Varazze e, in particolare: peste, lebbra e colera.
IL COLERA A VARAZZE
Il colera e la sua diffusione.
Il colera è una malattia infettiva batterica che colpisce l’intestino. Il suo nome deriva dal greco choléra (cholé=bile) e indicava la “malattia” che scaricava con violenza sentimenti ed emozioni e lo stato d’animo conseguente: la collera. Si tratta di una malattia infettiva acuta causata dal bacillo Vibrio cholerae che trova il suo rifugio nell’intestino dell’uomo. In epoca moderna il colera devastò nel 1816 l’Asia e l’Africa; nel 1835 si estese anche in Europa, colpendo l’Italia, dove si registrarono 32.000 morti in soli cinque mesi.
La prima via attraverso cui si può trasmettere l’infezione è l’uomo malato. Il vibrione del colera infatti viene eliminato con le feci. Il contagio indiretto invece avviene attraverso l’acqua, le bevande, i gelati, le verdure, dove il batterio si moltiplica molto facilmente. Quindi un uomo si può infettare per via oro-fecale (cioè attraverso un contatto bocca-feci), quando mangia cibi che sembrano buoni, ma che in realtà sono stati contaminati da feci contenenti il batterio Esso, penetrato dalla bocca, supera lo stomaco sino ad arrivare nell’intestino. Questo è il luogo preferito dal batterio, dove si moltiplica e produce una tossina che causa danni all’uomo. Quando il vibrione del colera penetra nel nostro organismo, la diarrea è così violenta che si possono verificare sino da 50 a 100 scariche in un solo giorno con una conseguente forte disidratazione peggiorata anche dal frequente vomito.
Il colera colpisce circa da 3 a 5 milioni di persone in tutto il mondo e nel 2010 ha causato tra i 58.000 e i 130.000 decessi.
Lo studio della malattia da parte del medico inglese John Snow, svolto tra il 1849 e il 1854, ha portato a significativi progressi nel campo dell’epidemiologia. Il batterio venne identificato per la prima volta nel 1854 dall’anatomista italiano Filippo Pacini e studiato dettagliatamente nel 1884 dal medico tedesco Robert Koch.
(Nella foto a lato: Heinrich Hermann Robert Koch: medico, batteriologo e microbiologo tedesco. Studiò e descrisse gli elementi patogeni che causano il colera e la tubercolosi, ottenendo per questi studi il premio Nobel per la medicina nel 1905.)
Nel corso dell’Ottocento, a causa di movimenti militari e commerciali dell’Inghilterra nel continente indiano, e delle macchine a vapore che resero sempre più numerosi i viaggi, il colera cominciò a diffondersi su quasi tutto il globo. L’Ottocento, infatti, rappresentò per l’Europa il secolo dello sviluppo industriale, che causò anche l’aumento demografico e l’accrescimento delle maggiori città che videro moltiplicare al loro interno rifiuti e germi, condizioni favorevoli per lo sviluppo di tale epidemia. Il colera dilagò in diverse città europee generando sette pandemie nel corso del XIX secolo. Sei di queste giunsero anche in Italia: 1835-1837, 1849, 1854-1855, 1865-1867, 1884-1886 e 1893.
Il colera in Liguria
In Liguria comparve nel 1835, penetrando nel ponente della regione “continuò in Genova a fare già si dicevano i morti a 7500 in Savona e longo la Riviera due mila casi provenuti da Genova”. – (*1)
Nel luglio 1854 cominciò a propagarsi in Savona il colera, che già infieriva a Genova. Il Consiglio Provinciale Sanitario e le Amministrazioni Comunali presero subito le opportune misure, costituendo Comitati Provvisori Sanitari, che dovevano provvedere ad ospedali o locali di cura, anche Oratori, preparare lavatoi per la disinfezione della biancheria e degli indumenti dei colerosi, fornire medicinali e fissare e disciplinare i vari servizi di assistenza. Nel popolo si manifestarono sospetti, terrori, spaventose fantasie: si vociferava di polveri che, sparse, producevano il colera, di medici che avvelenavano i malati. L’epidemia avanzava: casi a Cogoleto, Varazze, Celle, Albisola e poi a Savona.
L’Intendente Generale vietò il 4 agosto le riunioni per feste religiose e processioni. A Genova il morbo coglieva le sue vittime specialmente nella popolazione povera, mal nutrita e male alloggiata. Anche a Savona si ammoniva gravemente l’Amministrazione perchè non pensasse solo ad abbellire la città con opere di inutile magnificenza, mentre si lasciava giacere il popolo in bugigattoli fetidi e oscuri e in luridi viottoli. Il 7 agosto i ricoverati erano già una decina; ma parecchi infermi eran tenuti nascosti nelle case perchè i poveri ricusavano generalmente il ricovero. Si fondò un lazzaretto; il 14 agosto si formò un Comitato di Beneficenza, che raccogliesse danaro a beneficio dei miseri; i più facoltosi cittadini si rifugiavano in villa. Il numero degli infetti cresceva in città e in tutta la provincia; a Lavagnola specialmente incrudeliva il morbo. Alla fine d’agosto l’epidemia decresceva, e alla metà di settembre finiva il suo corso.
Il Comitato di Beneficenza, presieduto dal buon vescovo Riccardi, raccolse in pochi giorni circa 5000 franchi. In complesso il popolo, se per difetto di educazione e istruzione dimostrò di nutrire nell’animo ancora qualche diffidenza e sospetto, ubbidì alle autorità e non si lasciò vincere da quel cieco terrore, che condusse le popolazioni ad atti incivili e disonorevoli.
«Funereo fu il 1854: il colera corse la Spagna, la Francia, l’Italia, il Levante, e ovunque furono stragi immani. La Liguria fu tutta Invasa e Genova, tra lo spavento di chi fuggiva, tra il popolo che tumultuava ignorante, lo vide, dal porto, occupare tutta la città, con una violenza inaudita, giungendosi, nell’agosto, fino a 264 casi in una giornata, con 126 morti.
Il contado savonese, particolarmente a Varazze, Celle, Quiliano, Spotorno, Ellera Sassello, Urbe, Stella, Mallare, vide terribili stragi e a Savona fu enorme lo sbigottimento.
Il Comitato sanitario non si lasciò sorprendere e dispose lazzaretti, medici, serventi, portantine, medicine, disinfettanti. Tutti furono all’altezza del loro compito e lo furono le Suore di carità, i Carmelitani, i Cappuccini, i ricchi, che molto dettero al Comitato di beneficenza, che avea sezioni in ogni parrocchia. Eroico fu il Vescovo cittadino, Mons. Alessandro Riccardi di Netro, che il Comitato solennemente proclamò: «Benefattore e padre dei poveri».
Tirando i conti, l’epidemia, in Savona e provincia, contò 986 casi e 456 furono i trapassati. Anche in questa congiuntura ci fu un intensificarsi di devozione a N. S. di Misericordia e corsero anche ora molte liriche, la più popolare delle quali cominciava così: Madre, siam salvi e memori… .
Non era ancora smorzata l’eco di tante sciagure ed ecco che, nel seguente 1855, il colera ripigliava in Italia, in Liguria, tremendamente infierendo nelle calure d’agosto.
«Anche adesso carità e scienza si moltiplicarono per lottare contro l’epidemia, ma fu invano, ed essa fu, nella provincia di Savona, peggiore della precedente. Lo seppero particolarmente Cairo Montenotte, Millesimo, Carcare, Cenglo, Cosseria, Biestro, Altare, Piodio, Bormida, Quiliano, Noli, Ellera, Stella, che raggiunsero massimi di violenza inaudita. Savona si munì validamente e il contagio fu blando e pochi i caduti. II bilancio della provincia fu però tra i più luttuosi: 1089 casi e 558 decessi. Genova, a far tempo dall’agosto del 1866, registrò una terribile visita dell’ospite indesiderato e copiose furono le vittime. Moriva nel contagio il famoso laico Cappuccino, il Padre Santo. Savona corse alle difese, ma non ebbe offesa veruna».
Una poesia sacra «Inno eucaristico alla Madre di Misericordia nel suo Santuario di Savona l’ottobre 1854 cessato il morbo» pubblicò il Saggiatore, 1854, n. 29. Anche altrove la stupidità, malevolenza, malvagità diffondevano i più grossolani pregiudizi. La scienza medica suggeriva ancora vecchi rimedi:
«frizioni con pannolini bagnati, mattoni caldi sotto i piedi e lungo le gambe, empiastri di linosa senapizzata al ventre e all’epigastrio, bevande calde specialmente di camomilla, o brodo leggero, olio d’oliva e mandorle dolci e, appena diminuiti i sintomi più gravi, l’uso replicato dell’olio di ricino.» – (*2)
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Tiziano Franzi
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(*1) – Fantonetti G.B., Del cholera vagante nella Liguria, Mazzoleni ed., Genova, 1835
(*2) – Du Jardin G., Storia dell’epidemia di colera partita in Genova nell’anno 1866, Tipografia de’ Sordomuti, Genova, 1867.
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