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Varazze, 26.08.2014. Home page
Ciclismo in lutto, è morto Alfredo Martini, campione di ciclismo e commissario tecnico nazionale
Alfredo Martini (Calenzano, 18 febbraio 1921/Sesto Fiorentino, 25 agosto 2014). Tutti eravamo ormai convinti che sarebbe rimasto per sempre con noi. E invece dopo un anno di lotta e fatica come e più della storica Cuneo Pinerolo, Alfredo Martini ci ha lasciato alla venerabile età di 93 anni. A costo di essere blasfemi avremmo giurato che fosse eterno, divino, santo. Lui c’era già quando nei primi anni trenta sul Passo della Futa, estasiato vedeva la “Locomotiva Umana” e “il Trombettiere di Cittiglio” darsele di santa ragione in un epico Giro di Toscana; e c’era già prima della guerra, quando lottava con i pedali dei ragazzi del Führer e del Drittes Reich alla Monaco Milano, corsa a tappe voluta dalla propaganda.
C’era, e studiava le mosse di Binda che il regime avrebbe voluto Commissario Tecnico in vista dei Mondiali di Varese mai disputati. C’era negli anni bui della guerra, al soldo della Bianchi che con Cavedini ringhiava perché da oltre un ventennio non riusciva a portare a Milano una maglia rosa. C’era quando nel “Giro della Rinascita” si nascose sotto una camionetta per evitare i proiettili dei titini. C’è sempre stato … e ha segnato di se un buon tre quarti di secolo. Alfredo nazionale nasce a Sesto Fiorentino il 18 febbraio 1921 e il suo primo respiro profuma di olio canforato. Appena apre bocca vuole la borraccia d’alluminio; la sua maglietta ha il tascone davanti e così via. Appena riesce a pedalare spia le mosse di Bini e Bartali e poi fraternizza con Fiorenzo Magni coltivando un’amicizia che, come è risaputo, va ben al di là del credo politico.
Si sposa per tutta la vita con Elda e ha due figlie, Milvia e Silvia. Professionista per oltre 15 anni, dodici vittorie in carriera, una volta in maglia rosa, due volte con i colori azzurri ai mondiali. Ha assaggiato tutto: la Corsa Rosa, il Tour, la Bocchetta, il Giro della Svizzera e della Spagna, perfino la Parigi Tours. Capite bene che uno col suo carisma ha l’obbligo morale (nonché debito di riconoscenza) di insegnare il“bel ciclismo” a centinaia di giovani … E così riesce a far risuonare nel 1971 al Vigorelli il “Du gamia, du fria” per Gösta Pettersson, primo uomo del Baltico ad aggiudicarsi una grande corsa a tappe. Dal 1975 in poi diventa per la nostra Federazione Commissario Tecnico, e a seguire supervisore, presidente Onorario.
Soprattutto “vecchio saggio” che quando parla incanta gli astanti con chili di buon senso e pennellate di fiducia. ”La vita è una ruota” l’ho sentito dire presentando un libro a febbraio, reduce da un trauma e fiero della sua faccia nera, come un minatore dei corons, “I raggi arrugginiti bisogna cambiarli e guardare al domani, perché il domani attende i ragazzi e chi ha fiducia nel futuro. E tu devi insegnare loro a sbagliare meno di quanto tu hai sbagliato. Il ciclismo costringe a conoscersi, a capire, a capirsi e riconoscere il valore degli altri. E anche voi, scambiatevi la borraccia, donate l’ultimo sorso che avete, siate generosi perché il ciclismo è uno sport per generosi”. E generoso fu anche il “su’ babbo” che gli regalò la prima bicicletta pagandola 420 lire, quasi due stipendi di allora e che gli insegnò anche il sacrificio lavorando come un matto per tirare avanti la famiglia. Il futuro suocero, invece, consegnandogli la Elda gli spiegò come la dignità e l’onestà siano un tesoro, un capitale.
Aveva una memoria di ferro Alfredo, ma senza accorgersene parlava anche di politica non riuscendo a darsi una spiegazione di come fossimo risorti da un dopoguerra poverissimo mentre adesso si stenta. Perché? E ancora: “Papa Francesco ha scelto un bel nome, anche perché il ciclismo è per sua natura francescano e democratico perché due persone che si incontrano in bicicletta, anche se non si conoscono, si danno immediatamente del Tu, e darsi del tu è una cosa che mette a proprio agio la gente; la bicicletta ha il potere di rasserenare e crearti libertà. Più si pedala e più si pensa …”. Una volta un sacerdote gli domandò a bruciapelo cosa fosse l’inferno e cosa fosse il paradiso per Alfredo Martini. “L’inferno è quando uno pensa male, pensa male del suo prossimo, non ama la vita … Il paradiso invece è quando ti svegli e pensi che sarà una bella giornata pensi di incontrare persone con le quali stare assieme e stare bene con il prossimo …”.
Caro Alfredo, tu in paradiso hai sempre vissuto. Anche per questo noi ti abbiamo sempre amato. E, dato che non si può clonare l’uomo Martini, cerchiamo almeno di clonare la sua intelligenza e freschezza. (Dr. Carlo Delfino)